2022, il lavoro è sempre più smart

4 Febbraio 2022
4 Febbraio 2022 Fabio Pisanu

È uno dei grandi temi di questi ultimi anni, caratterizzati, purtroppo, soprattutto dal confronto quotidiano con la pandemia. Le contingenze legate ai lockdown, alle quarantene obbligatorie e alla tutela dai contagi hanno rimesso al centro dell’attenzione un po’ in tutto il mondo lo smart working, che è stato dunque riscoperto o – come in Italia – scoperto da lavoratori e aziende.

A distanza di due anni dall’inizio dell’emergenza-Covid, si può affermare senza paura di essere smentiti che lo smart working è entrato nelle nostre vite per rimanere (resterà nell’89% delle grandi aziende e nel 62% delle PA secondo il report 2021 dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano) ed è indicato come uno dei più importanti trend 2022 per quanto riguarda il mondo del lavoro.

Sono milioni, infatti, i lavoratori che hanno imparato ad apprezzare i lati positivi del lavoro da remoto, a partire dalla possibilità di gestire in modo migliore il proprio tempo, svincolati da orari, obblighi di presenza e pendolarismo.

E sebbene a volte la realtà sia un po’ distante dalla teoria, il modello di lavoro intelligente, basato su un’organizzazione fatta di obiettivi, fasi e cicli sembra destinato a diventare dominante anche nell’anno appena cominciato.


 

Cos’è lo smart working?

Prima di approfondire è necessario un chiarimento: lo smart working non va confuso con il telelavoro, cioè la modalità di esecuzione del lavoro presso il proprio domicilio o, comunque, all’esterno dei locali aziendali. Il più delle volte il telelavoro è caratterizzato dall’uso di una postazione fissa e da un rigido rispetto degli orari, proprio come i colleghi che lavorano in azienda. Flessibile, insomma, ma solo fino a un certo punto.

Lo smart working o, per la normativa italiana, lavoro agile, è invece quella modalità di esecuzione della prestazione lavorativa che non lega il lavoratore a un luogo specifico: si può lavorare da ovunque, purché si tratti di un luogo idoneo a garantire l’esecuzione dei propri compiti. Vengono meno anche i limiti di orario, trattandosi di un’organizzazione del lavoro che si basa principalmente su obiettivi, come detto.

Molto spesso lo smart working è declinato nelle nostre aziende in modalità ibrida, alternando giorni di presenza ad altri di lavoro da remoto, anche se sono sempre più numerose le aziende che offrono posizioni di lavoro full remote.

Lo smart working nel 2022 e oltre

Fatte tutte queste doverose premesse, il punto fermo del nostro ragionamento è che alla gran parte del lavoratori lo smart working piace. Piace la possibilità di organizzare in modo più autonomo tempi e spazi, con benefici notevoli in termini di produttività, piace la possibilità di conciliare meglio lavoro e vita privata, così come è apprezzata la mancanza di spostamenti verso le città e gli uffici in generale.

Chiaramente non manca qualche controindicazione. Nel biennio pandemico, sempre secondo l’Osservatorio del PoliMi, le ripercussioni negative hanno riguardato il calo dell’engagement dei lavoratori (che ora è sostanzialmente in linea con quello dei lavoratori in presenza 7% vs 6%) e il cosiddetto tecnostress legato all’uso prolungato delle tecnologie, con conseguenze come l’overworking (o sovraccarico di lavoro), il peggioramento dell’efficienza e del bilanciamento lavoro-riposo.

smart working freelance

Cosa faranno le aziende?

Ma l’impatto dello smart working ha portato anche le aziende a riflettere. Con il lavoro da remoto o le varie modalità ibride, inizia a venir meno l’esigenza di uffici mastodontici e costosi. Soprattutto sono gli spazi che vanno ripensati. Strutture più piccole e diverse stanno prendendo piede su scala globale; uffici con meno postazioni fisse e più sale per meeting periodici e brainstorming, ad esempio, e con un’attenzione maggiore al benessere del lavoratore.

Questo cambiamento, ovviamente, investirà – e in parte sta già investendo – le città, dove si moltiplicano ad esempio gli spazi di coworking aperti al pubblico.

In un articolo di scenario pubblicato negli ultimi giorni del 2021, anche il Sole 24 Ore approfondiva il tema del cambiamento dei modelli di lavoro. La sfida del 2022 e degli anni a venire – spiegava il quotidiano economico – è quella di “creare organizzazioni smart”. I quattro elementi fondamentali di queste organizzazioni sono: il lavoro per obiettivi, l’adeguamento tecnologico per lavorare da ovunque, la formazione per dare la necessaria indipendenza ai lavoratori e ai loro manager e il ripensamento degli spazi di lavoro, dentro e fuori dall’azienda.

Freelance e nomadismo digitale

Chiaramente il lavoro agile è stata una novità quasi assoluta soprattutto per lavoratori dipendenti e collaboratori fissi. I freelance conoscono bene già da tempo il valore di un’organizzazione flessibile e dinamica, ma l’inizio di questa New Wave dello smart working legata alle conseguenze della pandemia ha impattato anche su di loro.

Aziende e committenti sono ora maggiormente elastici e le modalità di collaborazione con i liberi professionisti sono diventate ancora più flessibili. L’incontro in presenza non è scomparso del tutto, ma la digitalizzazione quasi totale delle comunicazioni (riunioni, brainstorming, etc.), della trasmissione degli incarichi e della verifica del lavoro ha fatto sì che – di fatto – il libero professionista al giorno d’oggi possa letteralmente lavorare dappertutto.

Si sente parlare sempre più spesso di nomadismo digitale, cioè quel fenomeno che vede ormai migliaia di persone solo nel nostro Paese lavorare a distanza, molto spesso dall’estero e per periodi medio-lunghi, sfruttando la connessioni delle case o dei bed & breakfast affittati o quella di internet bar, coworking o spazi pubblici. Anche questo è lo smart working nel 2022: un’occasione affascinante ed eccellente per lavorare in maniera stimolante e produttiva entrando, al tempo stesso, in contatto con persone e culture diverse.

Dal 2021 esiste anche un’Associazione Italiana Nomadi Digitali, che ha cercato anche di tracciare un profilo di questo tipo di lavoratori nel nostro Paese. Il ritratto che ne è emerso ha molti punti in comune con la community di Grafica Republic: i freelance sono il 41% dei nomadi digitali italiani, hanno perlopiù un’età compresa fra i 30 e i 49 anni (64%), una laurea (57%) e in molti casi anche un master (26%).

I settori lavorativi coperti sono soprattutto quelli dell’IT, della grafica (graphic designer, illustratori, web designer), del content e del marketing.

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